Nel corso dei suoi settantacinque anni di esistenza, Vespa ha potuto mostrarsi in tutta la sua natura di gioiello affascinante ma al contempo ricco di essenza tecnica in un’infinità di scenari naturali, dalle rampe dolomitiche a quelle dell’Etna, e di teatri artificiali, ovvero creati dalla mano e dal lavoro dell’uomo. Due di questi, i circuiti di Monza e del Nürburgring, sono probabilmente tra i più conosciuti nel mondo motoristico per aver ospitato lungo i decenni i Grandi Premi automobilistici e motociclistici di Italia e Germania: asfalti leggendari sui quali si sono verificate le più intense battaglie per una corona d’alloro ma pure consumate tragedie umane come quelle che coinvolsero a Monza Renzo Pasolini e Jarno Saarinen in moto oppure Ronnie Peterson su una vettura di Formula 1, così come l’incidente di Niki Lauda al volante della Ferrari nel 1976 sul circuito dell’Eifel, e questo solo per citare le più famose e recenti.
A Monza e al Nürburgring, in tempi lontani, sono state grandi protagoniste anche le Vespa ronzanti con le loro piccole cilindrate, ben lontane dai bolidi da centinaia di cavalli che le hanno rese celebri. Sul circuito brianzolo, è storia nota a parecchi, le macchine Piaggio si rivelano nell’universo dei motori quali mezzi dalla eccezionale affidabilità nell’ultima giornata di gara della Sei Giorni Internazionale del 1951, che ha la città di Varese come centro delle operazioni e trova completo svolgimento sulle strade di Lombardia e Piemonte.
Nata nel 1913 in Inghilterra, quella manifestazione – un vero e proprio campionato del mondo di regolarità per nazioni e per squadre d’industria – rappresenta all’epoca il principale palcoscenico in cui mettere alla prova le qualità dei mezzi: al termine di cinque giorni e mezzo di prove tra sterrati, salite, discese e guadi, capaci di distruggere qualsiasi moto o pilota non all’altezza, il regolamento prevede una prova di velocità della durata di un’ora, terminata la quale i veicoli partecipanti, a seconda della categoria di riferimento, devono aver compiuto un certo numero di giri, quindi mantenuta una determinata media chilometrica. Per le Vespa, categoria 125, questi giri ammontano a undici.
Sino a poche ore prima, mezzi e piloti sono stati impegnati su strade normali e con obblighi di velocità completamente diversi: naturale quindi che, per poter affrontare sessanta minuti “a tutta”, i meccanici debbano mutare l’assetto da gara delle “Sei Giorni”, allestite appositamente per questa occasione, avendo a disposizione un tempo limitatissimo. Questa “ora di velocità” serve nella sostanza da discriminante per dirimere gli eventuali ex-aequo nella classifica, cosa che in effetti accade puntualmente.
Le nove piccole Vespa rimaste in gara sulle dieci partite si presentano verso le 12,45 sulla linea di partenza (alla guida sono Cau, Granchi, Mazzoncini, Merlo, Nesti, Opessi, Riva, Romano e Vivaldi – manca solamente Biasci, vittima di un incidente non meccanico) e iniziano a inanellare i giri necessari mettendosi in fila indiana e concedendosi pochissimi momenti di “divertimento” con brevi accelerazioni individuali, giusto per togliersi la voglia. La storia racconta di un trionfo individuale e collettivo, con nove medaglie d’oro per i singoli e la vittoria per la squadra Piaggio C (composta da Merlo, Riva e Romano) che si aggiudica pari merito la vittoria nel Trofeo FIM.
Otto anni più tardi, Vespa è di nuovo attrice di richiamo sulla stessa pista: siamo alla prima edizione del Campionato Europeo di Regolarità, fortemente voluto da Renato Tassinari con la volontà di far gareggiare nel pieno spirito vespistico popoli che sino a qualche anno prima si affrontavano con armi e bombe. Si corre da Merano a Monza, 359 chilometri che partono da un ippodromo e si chiudono in un autodromo: è il 13 settembre del 1959 e poche ore prima, sul medesimo anello, si è disputato il Gran Premio d’Italia di Formula 1 valido per il Campionato del mondo vinto dall’inglese Stirling Moss. Sono 102 i partenti, di undici diverse nazioni: arrivano tutti a Monza dopo una marcia regolare, che prevede quattro controlli orario. La scuola vespistica italiana fa la parte del leone: vince Stefano Ruotolo di Alessandria davanti al valdostano Sergio Actis, al napoletano Domenico Colantuono e al vicentino Umberto D’Ambrosi, ma ciò che più conta è il trionfo delle ruote piccole che nascono sul viale Piaggio di Pontedera, che strappano applausi a scena aperta al pubblico rimasto sugli spalti dopo la corsa automobilistica (e anche qualche fischio da parte dei sostenitori dell’altro scooter che in quegli anni va per la maggiore, prodotto da quelle parti…) ottenendo il conforto dei migliori commenti da parte della stampa specializzata.
Due anni più tardi, esattamente il 10 settembre, è il circuito del Nürburgring a fare da scenario naturale alla terza edizione dell’Europeo di specialità nel rispetto della rotazione organizzativa tra le nazioni facenti parte del Vespa Club d’Europa. A caratterizzare il tracciato di 331 chilometri è il fatto di dover percorrere per sei volte il famoso “Nordschleife”, l’anello di 22,810 chilometri sul quale si sono misurati, tra gli altri, Tazio Nuvolari, Alberto Ascari, Juan Manuel Fangio in auto e Carlo Ubbiali, Geoffrey Duke e John Surtees in moto.
I tedeschi, che hanno una visione tutta loro della regolarità motociclistica, preparano un regolamento che dalle nostre parti sarebbe considerato una follia, prevedendo un mix di regolarità, gimkana e velocità pura. Nessuno dei piloti italiani ci si raccapezza più di tanto (anche perché sono previste medie diverse a seconda del tipo di Vespa utilizzata, tanto che gli stessi cronometristi si trovano in difficoltà nei conteggi), e la vittoria finale arride a un tedesco, Berthold Schmidt, con il torinese Gianfranco Fiora buon secondo classificato per un solo punto di ritardo. Poco male, ciò che conta è che Vespa e il Vespismo internazionale abbiano compiuto un ulteriore passo in avanti per la propaganda del mezzo e soprattutto nella missione più importante, quella di unire le genti più diverse e lontane sotto un’unica, meravigliosa bandiera.
Alessandro Lanzarini
1961CopertinaMotociclismo-convertito