Venticinque marzo 1949: ricordate questa data, perché è proprio in questo giorno che nasce il turismo organizzato in Vespa a livello internazionale. Non esiste ancora un’associazione che mette insieme i vespisti italiani: sulla carta c’è un progetto già da qualche mese (le prime volontà paiono risalire ai mesi precedenti lo “Sciame d’argento”), ma la concretizzazione è ancora relativamente lontana. Però in questa mattina di primavera prende vita un fenomeno che di lì a poco conquisterà qualche migliaio di persone, che diventeranno nel corso degli anni successivi decine di migliaia. A Milano, nella mattinata del 25 marzo del fatidico 1949, si ritrovano quasi ottanta uomini e donne di tutta Italia che non vedono l’ora di partire per un’avventura straordinaria, che riprende la tradizione di raid motociclistici internazionali, come la Roma-Parigi-Anversa del 1920 e la Milano-Budapest-Milano del 1928.
Venerdì 25 marzo i settantotto intrepidi vespisti e vespiste (rappresentanti della buona borghesia italiana, con l’aggiunta di qualche nobile) partono da Milano alla volta di Como, prima tappa del tour a bordo delle loro Vespa assolutamente “di serie”: capocolonna è l’ing. Vittorio Casini, uno degli uomini chiave dello stabilimento Piaggio di Pontedera. Quale lo scopo di questo viaggio su due (piccole) ruote? Dimostrare come l’evoluzione dell’altrettanto piccolo motore Piaggio e il sostanziale progresso del settore motociclistico (soprattutto quello leggero) ormai permettano a un veicolo di cilindrata ridotta, se non ridottissima, di sfidare un percorso di 750 km e uscire vincitore. L’efficienza di Vespa viene palesata, oltretutto, dal fatto che gli utilizzatori non sono piloti professionisti per la stragrande maggioranza: i pochi che vantano precedenti come corridori di velocità sono presenti anche e soprattutto per l’esperienza che portano con sé, indispensabile per garantire alla pattuglia quella dose di sicurezza necessaria per affrontare il viaggio con molta tranquillità.
Le maggiori problematiche si sono dovute superare forse prima della partenza e non durante il trasferimento. Infatti, trattandosi di un “esodo” all’estero, ogni partecipante deve munirsi di patente internazionale di guida e di passaporto, oltre che di una regolare targatura del mezzo. Per portare a termine tutte queste pratiche di burocrazia, sono stati interessati da Renato Tassinari alcuni funzionari del Ministero dei Trasporti, della Direzione delle Dogane e della Direzione di Polizia, oltre che del Ministero dell’Interno, che ha rilasciato i passaporti a coloro che ne erano sprovvisti in pochissimi giorni anziché con le canoniche tempistiche, di stampo “biblico”. Oltre alla Federazione Motociclistica Italiana, che nella persona del suo Presidente, Emanuele Bianchi, ha sottolineato l’importanza e il valore dell’avvenimento con un saluto portato alla vigilia della partenza, anche la Federazione Motociclistica della Svizzera collabora ampiamente per la buona riuscita dell’evento. Sono stati mobilitati tutti i Moto Club delle località toccate lungo il percorso: è garantita l’eventuale assistenza tecnica, numerose staffette si occupano di scortare i vespisti italiani lungo le sconosciute strade di montagna elvetiche, guidandoli dai confini cantonali ai centri delle città e accompagnandoli sino agli alberghi prescelti. Insomma, pur in terra straniera, i viaggiatori venuti dall’Italia si trovano come in casa propria grazie alla vivissima amicizia messa in atto dai motociclisti svizzeri.
La Confederazione Elvetica diviene terra di vespisti sin da subito: alla fine del 1949 un censimento effettuato dal Bureau Federal de Statistique di Berna (l’istituto nazionale di statistica) pubblica il resoconto delle importazioni di motociclette nel Paese: tra le 1.541 macchine prodotte in Italia e acquistate in territorio svizzero, Vespa è al primo posto con 698 esemplari, nettamente davanti alla Lambretta, che conta 405 pezzi venduti. Solamente l’austriaca Puch e la cecoslovacca Jawa superano lo scooter Piaggio. Questo nonostante la rete di vendita sia ancora in costruzione e i Vespa Club esistenti siano solamente due, quelli di Ginevra e di Zurigo. Per gli elvetici, nonostante l’accentuata montuosità del territorio, i 98cc dei primi modelli di Vespa non sono un ostacolo alla popolarità sempre crescente.
Elemento da non dimenticare, trovandosi in una Nazione in cui l’ordine e la disciplina del traffico fanno parte del DNA della popolazione, la perfetta e assoluta precisione della marcia, nel totale rispetto dei limiti di velocità, del codice della strada e dell’educazione nei confronti degli ospitanti. A Zurigo, Berna e Ginevra, la squadra italiana è accolta con grandi signorilità ed entusiasmo dall’importatore Piaggio Nicolò Rizzi, presidente della “Intercommercial SA” e ginevrino d’adozione (è un 57enne importante imprenditore elvetico, tra le altre cose proprietario di una banca assieme ai fratelli Giovanni e Girolamo con sedi a Berlino, Vienna e Ginevra, armatore e industriale, poi Governatore generale dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme), che organizza arrivi, partenze e tutto quello che nel mezzo sta: pranzi, cene, banchetti, pernottamenti. Il luogo finale per il ritorno di lunedì 28 marzo in Italia è fissato a Stresa, sulle rive del Lago Maggiore, ma molti si salutano già a Domodossola, dato che parecchi debbono scendere per vie diverse per impostare il rientro nella propria città. Di questo avvenimento si parla, eccome, su numerosissimi giornali, specializzati e no. Per Tassinari rappresenta la certezza sulla bontà delle proprie idee riguardo al turismo vespistico come “collante sociale” e potenziale catalizzatore di grandi folle.
Questi i 73 partecipanti (più 5 ufficiali della manifestazione) a “Svizzera a volo di Vespa”, dal 25 al 28 marzo 1949:Milano – Como – Zurigo – Ginevra – Stresa per totali 750 km da percorrere a 45 kmh di media.
Guidatrici (9): Anna Sorrentino (Milano), Enrica Grimoldi (Milano), Celestina Bonino Pecol (Torino), Geromina Valvassora (Torino), Marchesa Carina Negrone (Genova), Maria Bongiovanni Tissoni (Savona), Baronessa Maria De Meis (Napoli), Carlotta Del Pezzo (Napoli), Welter Beretta (Perugia).
Sidecaristi (5 guidatori + 5 passeggeri): Pierino Opessi (passeggera Elena Carbonero, Milano), Dante Ghisalberti (passeggera Benigna Ghisalberti, Bergamo), Alberto Bodo (passeggera Olga Bodo, Torino), Mario Zaccheo (passeggera sig.ra Zaccheo, Terni), ing. Vittorio Casini (capocolonna, Lucca; passeggero Arturo Coerezza, giornalista al seguito, Milano).
Guidatori (54): Barone Riccardo Ricciardi (Napoli), Conte Raimondo Del Balzo (Napoli), Franco Leone (Napoli), Mario Revetria (Napoli), Biagio Nini (Napoli), Livio De Simone (Napoli), Giuseppe Pambianchi (Ancona), Franco Urbani (Ancona), Roberto Rinaldi (Pisa), Giacomo D’Ascanio (Pisa), Giorgio D’Ascanio (Pisa), Dino Mazzoncini (Pisa), Averardo Martini (Pisa), Tommaso Cappelli (Bologna), Domenico Iccolti (Bassano del Grappa), Walter Bertini (Vicenza), Lino Franceschetti (Vicenza), Aldo Calderon (Vicenza), Gerolamo Tissoni (Savona), Egidio Castelletti (Savona), Alfredo Poggi (Genova), Enrico Vianson (Genova), Eugenio Montanari (Genova), Giacomo Barabino (Genova), Luigi Maucci (Aosta), Paolo Sismondi (Torino), Conte Emilio Gautier (Torino), Terenzio Magliano (Torino), Vittorio Curti (Torino), Paolo Beltramo (Torino), Tito Gila (Torino), Mario Brusasco (Torino), Bruno Amadei (Torino), Giacomo Papa (Torino), Luciano Falzoni (Torino), Alessandro Bachi (Torino), Giuseppe De Orsola (Torino), Lelio Pellegrini (Torino), Mario Boasso (Torino), Franco Salvetti (Sondrio), Antonio Bertasio (Salò), Domenico Filippini (Brescia), Carlo Bertolini (Varese), Luigi Tosi (Varese), Enrico Marforio (Lecco), Renzo Mezzera (Lecco), Angelo Bonomi (Lecco), Carlo Mazza (Legnano), Annibale Stella (Legnano), Pietro Redaelli (Desio), Angelo Meda (Desio), Gianni Achini (Milano), Mario Guerci (Milano), Getulio Pettinari (Milano).
Ufficiali al seguito (5): dr. Renato Tassinari (Direttore della manifestazione), ing. Corradino D’Ascanio, ing. Carlo Carbonero (Direttore di marcia), ing. Umberto Barnato, dr. Guido Fenini (Presidente M.C. Lombardo).
Diario di bordo dei quattro giorni di viaggio
Che guaio per l’Enrica! La sera prima della partenza, gironzolando in Vespa per le strade di Como, la signora Enrica Grimoldi si distrae un attimo e si schianta contro un’automobile. I danni fisici alla conduttrice sono un bel bernoccolo viola in fronte e una caviglia che si gonfia come un melone, ma quello che spaventa la bionda vespista è il timore di dover rinunciare al viaggio. Il tempo per le numerose riparazioni è pochissimo, e soprattutto manca un pezzo di ricambio, disponibile solamente a Milano. L’ing. Carbonero, uno che in Piaggio conta qualcosa, ordina al meccanico Pettinari di partire immediatamente e tornare “vivo o morto” entro la mezzanotte con il pezzo ed effettuare la riparazione. Una nottata insonne per lo sventurato Pettinari e per la signora Grimoldi, nel frattempo curata a dovere dal dott. Fenini, e al mattino tutto è come nuovo (tranne il livido e la caviglia). L’unico pensiero è mantenere tutto segreto, perché se si fosse venuto a sapere a casa, per l’Enrica sarebbe stata l’ultima gita in Vespa.
Non volevo un gatto nero. Incidente fuori programma per l’altra milanese, Anna Sorrentino. Fuori programma nel senso che le accade quando ormai il tour in Svizzera è terminato: la sfortunata meneghina – raccontano le cronache – incrocia un gatto nero che attraversa la strada e le fa fare un bel ruzzolone. Risultato, braccio al collo per quindici giorni.
Fenini “tombeur de femme”. Il personaggio numero uno del viaggio è Guido Fenini, Presidente del Moto Club Lombardo e poi primo Presidente del VC Milano. Ha il preciso incarico di sventolare la bandiera a scacchi alla partenza, oltre che di occuparsi delle eventuali ferite riportate in caso di caduta e dei malanni come raffreddori o mal di testa. Nella sua città è noto come stimatissimo ostetrico, ma durante il viaggio si rivela fantastico ballerino di liscio e soprattutto di valzer, esibendosi durante un banchetto a Ginevra in un’appassionata danza con una signora conosciuta nell’occasione, che al momento del saluto lo ricambia delle attenzioni con un caldissimo e affettuoso bacio. A parte questo, si fa riconoscere a primissima vista per la calvizie e la fluente e grigia barba, sormontata da enormi baffi neri, che lo fa battezzare da qualcuno “Abate Faria”.
Lo scippo della Vespa. Il varesino Luigi Tosi è un altro che si nota facilmente: pesa 112 kg e sulla Vespa sembra il gigante Golia seduto sulla schiena di Davide. La sua Vespa, in realtà, non è sua: appartiene al figlio. Quando viene a sapere del Giro della Svizzera “a volo di Vespa”, il signor Luigi decide di impadronirsene con un trucchetto mica da ridere: chiede al ragazzo quali siano i suoi voti a scuola, senza nemmeno attendere la risposta li giudica ampiamente insufficienti e impartisce al malcapitato una punizione esemplare. Ovvero, una settimana senza Vespa, prima colpevole delle troppe distrazioni, che prendono il posto dello studio. Anzi, per essere sicuro che il giovane non avrebbe disobbedito di nascosto, gliela sequestra. Cosa ne abbia fatto, lo abbiamo già capito.
Welter la neofita. Fra tanti esperti di Vespa, c’è anche una neofita quasi totale. Welter Beretta, detta “la maestrina di Perugia”, all’arrivo a Biasca (Canton Ticino) appare molto mogia, avvolta in un pellicciotto. Arturo Coerezza, l’unico giornalista al seguito (lavora per “Motociclismo”) si domanda cosa possa avere. Scopre che la signora Beretta in realtà non ha mai guidato una Vespa per più di cinque chilometri di fila, ovvero la strada tra casa sua e la scuola dove insegna; che di meccanica e motori sa meno di zero; che l’odore del gas che esce dallo scappamento le procura un terribile mal di testa. Insomma, una tragedia. Coerezza, evidentemente finissimo psicologo, le propone un servizio fotografico in esclusiva per tutti i giornali italiani: “Ecco la signora Beretta, la grande rinunciataria”. La mossa provoca uno scossone nella mente della povera Welter, che da quel momento è tra i più attivi della pattuglia vespistica. Giunti al termine del tragitto di ritorno, se ne esce persino con un fantastico “Come mi sono divertita! Peccato sia durato così poco”.
La sfortuna di Celestina. Un’altra signora degna di nota è Celestina Pecol in Bonino, popolare velocista torinese che detiene il primato femminile nella corsa in salita “Sassi-Superga”, e rivendica parità di trattamento sulla partecipazione delle donne alle prove motociclistiche (diritto che, in quel periodo, è quasi negato). La simpatica Celestina, avvezza a dare di gas più che può, si lamenta spesso della velocità obbligatoria, fissata in 45 kmh, protestando con il Direttore di marcia perché non pensava che avrebbe preso parte a un funerale. L’ing. Carbonero, chiaramente, la rimbalza senza pietà, lasciando tuttavia alle velleità velocistiche dei suoi compagni di viaggio (nel frattempo, la Pecol ha fatto proseliti nella truppa) un piccolo spazio per sfogarsi: i dieci chilometri del rettilineo che da Martigny portano a Saxon, nella Valle del Rodano. Lì arrivati, tutti ci danno dentro più che possono. Tutti tranne uno: Celestina Pecol, che ha la candela che fa i capricci e deve procedere a passo d’uomo (o di donna?) o poco più per un lungo tratto, superata senza fatica da tutti gli altri.