“Canto del cigno” è la tradizionale espressione che si utilizza quando si vuole andare a identificare l’ultima interpretazione degna di nota di un soggetto umano, quale esso sia il suo fare. Sin troppo banale, vorremmo dire, e forse inappropriata. Sì, perché quel famoso cigno che canta lo fa in quanto sta per morire, ed è dunque destinato a scomparire per sempre.
Il Vespa Club d’Italia, nel 1970, vive la sua ultima stagione intera, nella quale porta a termine gli obbiettivi organizzativi che si è prefissata
o: il Campionato Italiano di Regolarità, quello di Gimkana (con la solita formula delle eliminatorie regionali e finale nazionale), la “Mille Chilometri” ancora una volta affidata alle sapienti mani dei vespisti di Reggio Calabria. C’è addirittura il colpo di coda dell’Eurovespa, che si ripresenta quasi casualmente a Locarno, nella Svizzera italiana, dove il locale Vespa Club chiede e ottiene di poter utilizzare l’importante denominazione per un suo raduno internazionale (anche se questo ultimo evento riguarda il sodalizio continentale e non prettamente quello italiano).
Il “Trofeo dello Sport” per l’annata andrà a premiare il Vespa Club Cesena, mentre il “Trofeo del Turismo” finirà nelle mani di Ermanno Lazzaretti, Presidente del Vespa Club Correggio Emilia, amico intimo di Renato Tassinari.
Più che un cigno, l’Associazione incarna in questi momenti l’Araba Fenice, mitologico uccello di fuoco che, negli attimi della sua estrema consumazione dopo cinquecento anni di esistenza, genera una piccola larva, la quale nel giro di tre giorni dà vita a un nuovo essere vivente che fa ripartire il ciclo.
Il giorno decisivo è il 4 luglio 1970, quando si riunisce a Milano il Consiglio Nazionale, in cui è entrato da qualche mese il generale Biagio Nini. L’ordine del giorno viene presentato dal vicepresidente Angelo Pesce e viene votato all’unanimità: “Udita la relazione del Presidente e la lettera dallo stesso inviata alla Società Piaggio, la Vice Presidenza ed il Consiglio Nazionale del Vespa Club d’Italia, riuniti a Milano il 4 luglio 1970, prendono atto con dispiacere di quanto è avvenuto e all’unanimità, rinnovando al Presidente Tassinari la piena fiducia per la Sua ventennale, instancabile ed entusiasta opera costruttiva che ha sempre più consolidato il prestigio del Vespa Club d’italia e per la strenua difesa della continuità dell’Ente in quest’ultimo quinquennio, lo delegano di trovare, prima del XXII Congresso, una soluzione atta a raggiungere lo scopo indicato dalla Società Piaggio e nel tempo stesso salvaguardare la gloriosa tradizione e l’indiscutibile prestigio conquistato dal Vespa Club d’Italia in ventun anni di intensa attività associativa turistica e sportiva. (…) La Vicepresidenza ed il Consiglio Nazionale formulano il più fervido augurio affinché il compito affidato al Presidente si concluda con piena soddisfazione e legittimo orgoglio di tutti colori, 799.418 in ventun anni, che hanno con la loro appassionata adesione contribuito ad una sempre maggiore efficienza e validità del Vespa Club d’Italia nel più vasto quadro della motorizzazione italiana ed internazionale”.
Un comunicato leggermente criptico (pubblicato sul numero 205 del notiziario, il penultimo della serie), che mantiene formalmente le distanze dai fatti – signorilmente e prudenzialmente appena accennati per non renderne pubblico lo svolgimento e creare così correnti di pensiero potenzialmente ostili alla “casa madre” -, afferma di “prendere atto” della lettera inviata dalla Società Piaggio e poco più avanti invita e incoraggiando il Presidente a trovare il modo di ottemperare all’invito pervenuto da Genova in una maniera la più adatta a salvare l’alta reputazione, l’autorevolezza, il credito e il carisma specifici dell’Associazione e di tutti coloro che in essa sono stati a qualsiasi titolo coinvolti nell’attività svolta a partire dal 1949, in Italia e in tutta Europa.
Traspare pure un evidente riferimento alle relazioni, del tutto diverse da quelle dei primi quindici anni, tra l’Associazione e la nuova proprietà dell’Azienda nel momento in cui si cita “la strenua difesa della continuità dell’Ente in quest’ultimo quinquennio” messa in atto dal Presidente a partire dal giorno successivo alla scomparsa di Enrico Piaggio.
Alta reputazione, autorevolezza, credito e carisma che il Vespa Club d’Italia, da Renato Tassinari all’ultimo dirigente, non deve mettersi a elemosinare davanti a nessuno essendosele conquistate sul campo, lavorando, sudando, soffrendo, vincendo.
Al pari di tutte le cose di questo mondo, pure la vicenda del Vespa Club d’Italia è destinata, in una maniera o nell’altra, a conoscere il giorno dell’occaso. Nessuno e niente vive all’infinito, spietata ma giusta legge di natura per l’uomo e per i frutti delle sue azioni.
Il sipario si chiuderà formalmente il 4 febbraio del 1971 al Congresso che si tiene a La Spezia, nel quale l’Associazione viene sciolta dopo oltre ventuno anni di attività. Renato Tassinari si ritirerà a vita privata e morirà nel 1980, Renzo Castagneto chiuderà la propria esistenza dodici giorni dopo il XXII Congresso. Del terzetto che ha fatto grande il Vespa Club d’Italia rimane solamente Manlio Riva, dal quale tutto ripartirà.