Nel luglio del 1949 si costituisce in forma libera a Milano, con sede provvisoria fissata in via Pallavicino 31, l’Unione Vespisti d’Italia: sembra già un passo definitivo, in realtà la storia dimostrerà che si tratta solamente di uno step di avvicinamento a quello che accadrà tre mesi più tardi. Viene fissato un Congresso a Viareggio per l’ottobre successivo, quindi nominato un Commissario tramite una votazione tra i delegati dei Gruppi Vespisti regolarmente formati. Lo spoglio delle schede sancisce la (scontata) nomina del dott. Renato Tassinari quale Commissario dell’U.V.I.
Il fatto che Renato Tassinari abbia la carica di “Commissario” e non di “Presidente” suggerisce silenziosamente la considerazione riguardo al rapporto tra la casa madre e il neonato sodalizio associativo.
Questi i Gruppi che inviano i propri delegati: Napoli (barone Ettore Ricciardi), Ancona (conte Pier Francesco Leopardi), Udine (Maurizio Sanvilli), Trento (Bruno Sighel), Pisa (Wando Quinti), Mantova (Livio Bodon), Padova (Mario Salvadori), Sondrio (Gianfranco Salvetti), Modena (Francesco Corfini), Mondovì (Alessandro Beltrandi), Cremona (Franco Cabrini), Vicenza (Manlio Riva), Menaggio (Teresio Capra), Torino (Giuseppe Drammi), Fivizzano (Vezio Maltinti), Chieti (Waldemiro Razzi), Terni (Mario Zaccheo), Savona (Guglielmo Della Montà), Firenze (Bruno Barlacchi), Roma (Tommaso Capriccioli), Milano (Guido Fenini), Lecco (Facchinetti), Cava de’ Tirreni (Renato Di Marino).
Sono dunque ventitré, alla data del 5 agosto 1949, i Gruppi Vespisti entrati ufficialmente a far parte dell’Associazione, ma in altre decine di città e cittadine sono già operativi – seppur magari non ancora costituiti o riconosciuti – come a Bologna e Cesena.
È opinione comune che, alla data del Congresso dell’ottobre seguente, il numero di quelli che Renato Tassinari inizia già a chiamare “Vespa Club”, rinnovandone e modernizzandone la denominazione un po’ troppo “alla buona”, possano essere una cinquantina. A Viareggio non si raggiungerà, per vari motivi, quel numero. Ma non importa: basterà attendere qualche mese dopo la costituzione del Vespa Club d’Italia perché quella cifra si alimenti settimana dopo settimana.
Per coloro che si ritrovano a Milano è subito evidente che un organismo di coordinamento dell’attività dovrà per prima cosa armonizzare le iniziative, che – è già capitato – vanno a sovrapporsi se non a collidere. Non bisogna dimenticare che il vespismo è ancora una forma quasi sempre spontanea di avvicinamento tra le persone: ognuno pensa per sé, anche perché le comunicazioni non possono certo essere in tempo reale, gli spostamenti – per quanto in Vespa – rappresentano ancora un ostacolo per molti.
Ma soprattutto quello che si intravvede all’orizzonte è la possibilità di poter disporre per la base associativa – destinata a crescere rapidamente – una serie di vantaggi sempre più sensibili: sconti su acquisti, interventi di assistenza e manutenzione, assicurazione, eccetera. Lo spirito di marca si manifesta subito “particolarmente vivo e fecondo”: per Renato Tassinari, che già sta iniziando a mettere la propria firma sulla storia del vespismo italiano e mondiale, è indispensabile “recare un contributo non trascurabile alla ripresa del grande turismo internazionale in campo motociclistico, e alla valorizzazione della tecnica e del lavoro italiano”. Parole sante, valide se pronunciate ancora oggi.
Il Congresso di Viareggio. Il grande giorno, finalmente, è arrivato. Domenica 23 ottobre 1949 l’hotel Belmare, situato sul lungomare di Viareggio (Lucca) ospita i delegati dei gruppi periferici che hanno accettato l’invito a presentarsi per la prima assemblea costitutiva del Vespa Club d’Italia. Questo l’elenco dei partecipanti: conte Pier Francesco Leopardi (Ancona), Alberto Maudente (Bologna), Elia Filippini (Brescia), Renato Di Marino (Cava de’ Tirreni), Franco Cabrini (Cremona), Ercole Bertelli (Ferrara), Bruno Barlacchi (Firenze), Vezio Maltinti (Fivizzano, Massa), Oscar Campigli (Genova), Rosario Fiorito (Livorno), Aldo Terigi (Lucca), Livio Bodon (Mantova), Guido Fenini (Milano), Ezio Rattin (Modena), barone Ettore Ricciardi (Napoli), conte Carlo Ferretti (Novara), Mario Salvadori (Padova), Tommaso Capriccioli (Roma), Guglielmo Della Montà (Savona), Ademaro Porro (San Remo), Giuseppe Drammi (Torino), Mario Magrassi (Tortona, Alessandria), Bruno Sighel (Trento), Ferruccio Miletta (Trieste), Maurizio Sanvilli (Udine), Enrico Melani (Urbino), Manlio Riva (Vicenza).
Soci benemeriti fondatori verranno successivamente indicati anche i signori dott. Enrico Piaggio (Genova), ing. Corradino D’Ascanio (Pisa), Arturo Coerezza (Milano), Tommaso Cappelli (Bologna), Riccardo Casiraghi (Genova), Lino Franceschetti (Vicenza), Giovanni Orsini (Genova) e Wando Quinti (Pisa).
Il sindaco di Viareggio, ing. Antonio Garboli, apre i lavori con il saluto dell’amministrazione comunale dando quindi il via al Congresso. Prima operazione è l’elezione del presidente dell’assemblea, che viene identificato nel dottor Guido Fenini di Milano, motociclista di lungo corso e tra le altre cose presidente del Moto Club Lombardo. Renato Tassinari, nella sua qualità di Commissario dei Gruppi Vespisti, prende la parola illustrando i risultati sino a quel momento ottenuti e le varie attività svolte dai sodalizi locali nell’anno in corso e in quello precedente.
Viene presentata una bozza di statuto sociale, la quale è discussa e modificata in alcune parti, indi si passa all’approvazione della denominazione ufficiale “Vespa Club d’Italia”, e infine di mettere allo studio la realizzazione di un marchio societario e di una tessera da distribuire agli affiliati dei vari club. Oltre a ciò, viene ratificata la decisione di promuovere iniziative di facilitazione per i soci sul modello di quelle già in vigore in alcune zone tramite convenzioni con soggetti terzi.
Veloce trasferimento al vicino caffè Manetti per l’immancabile aperitivo a base di vermouth offerto dall’Azienda di soggiorno della Versilia, quindi ripresa dei lavori con le votazioni per l’elezione del primo Consiglio Direttivo. Oltre alla elezione di Renato Tassinari a presidente, vengono nominati Alberto Maudente (vicepresidente), Franco Cabrini (Segretario) e i consiglieri Capriccioli, Drammi, Fiorito, Leopardi, Ricciardi e Riva. Nove persone, un numero dispari, come tradizione pretende. Revisori dei conti, quindi non facenti parte del Consiglio Direttivo (e senza diritto di voto), Guido Fenini, Bruno Barlacchi e Maurizio Sanvilli.
L’assemblea continua con la compilazione di un primo calendario di attività, comprendente un raid da Torino a Parigi, un nuovo Giro dell’Austria e un raduno tutto al femminile. Per il secondo Congresso, da tenersi nel 1950, viene scelta la città di Firenze, che però verrà poi sostituita da Montecatini Terme, località di villeggiatura in provincia di Pistoia. Il giorno seguente, lunedì 24 ottobre, nuova sessione di lavori da parte del Consiglio Direttivo prima dello spostamento per la colazione a Pontedera, dove ad attendere gli ospiti sono tra gli altri il dott. Enrico Piaggio e l’ing. Francesco Lanzara (direttore dello stabilimento). La visita si conclude alle ore 16,30.
Dopo il Congresso costitutivo del Vespa Club d’Italia, in tutto il Paese inizia a diffondersi il “virus” del vespismo organizzato e codificato. La denominazione “Unione Vespisti d’Italia” è stata abbandonata per una di respiro più moderno e internazionale, con la parola “Club” che soppianta “Unione”, rendendo all’immagine dell’Associazione il supporto di un termine straniero, più consono e adatto ai tempi, che nel dopoguerra si sono velocemente affrancati dall’obbligo di utilizzare solamente parole italiane o italianizzate a forza. E così è anche per i Gruppi Vespisti, che del tutto automaticamente si trasformeranno in “Vespa Club”. Devono essere sottolineati altri due aspetti: tanto per cominciare mancherebbe il nome “Vespa”, totalmente identificativo del prodotto e quindi caratterizzante al cento per cento il concetto del club di marca, novità assoluta al mondo e per questo rivoluzionaria, quindi in perfetta linea con la volontà aziendale. E inoltre, “Unione Vespisti d’Italia” avrebbe probabilmente trasmesso il concetto di gruppo in qualche modo estraneo alla casa madre ed espressione di individui liberi di disporre a proprio piacimento del loro agire. “Unione Vespisti d’Italia” è poi stata ovviamente sintetizzata nella sigla “U.V.I.”, la quale è tuttavia pure l’acronimo della “Unione Velocipedistica Italiana”, né più né meno quella che poi diverrà Federazione Ciclistica Italiana, ma solamente nel 1964. Non è dato sapere se ci siano stati ragionamenti in proposito per evitare sovrapposizioni tra le due identiche intestazioni, rimane il fatto che U.V.I., parlando di vespismo, viene felicemente accantonata in favore di un più convincente “Vespa Club d’Italia”.