Se qualcuno pensa che Bassano del Grappa, il Monte Grappa e l’acquavite prodotta in quelle zone del Triveneto siano in qualche modo legate, ebbene sappia che non è così. Il termine geografico pare derivi dall’antico termine “krapp”, che significa “roccia”, e dà il nome al massiccio prealpino che trova come confini il fiume Brenta da un lato e il Piave dall’altro. Bassano del Grappa è un centro della provincia di Vicenza posta là dove il Brenta confluisce nell’omonimo canale. La grappa che si beve, meraviglioso distillato che solamente la terra italiana è stata capace di donare al mondo intero, prende il nome dal vocabolo “graspa”, che identifica la vinaccia, ovvero la buccia dell’uva comprensiva dei vinaccioli ma senza i raspi (da qui “graspa”) che formano lo scheletro legnoso del grappolo. E proprio alle porte del ponte si trova la più antica distilleria nazionale.
Bassano, il Monte e la grappa si uniscono però in un triangolo magico, che racchiude dentro i propri lati un fondamentale frammento della storia d’Italia e della sua popolazione nella prima parte del XX secolo. Sono le terre che hanno vissuto giorni dalla mostruosa ferocità durante la prima guerra mondiale e hanno lasciato sul campo centinaia di migliaia di vite umane, anni di sofferenza e privazioni che fissano cicatrici indelebili oltre che tantissimi luoghi simbolo della memoria collettiva.
Uno di questi è il Ponte di Bassano. Detto anche Ponte Vecchio o Ponte degli Alpini, data la sua nascita nel 1209 e nel corso dei secoli viene più volte distrutto (da elementi naturali o dalla più tremenda mano dell’uomo) e ricostruito. Nel 1567 è l’architetto Andrea Palladio ad essere incaricato di un nuovo progetto per il ponte, totalmente edificato in legno: il risultato è una struttura talmente solida da resistere per quasi duecento anni prima di venir travolto da una piena del fiume Brenta nel 1748. Ancora nel 1813 (a causa di un incendio) e quindi nel febbraio 1945 (atto della guerriglia partigiana) il Ponte Vecchio scompare dall’orizzonte: rinascerà nella sua versione attuale (periodicamente sottoposta a lavori di stabilizzazione, soprattutto dopo l’alluvione del 1966) nel 1948 e sarà inaugurato dal Presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi. Nel 2019 è dichiarato Monumento Nazionale.
La stretta di mano. “Sul Ponte di Bassano – là ci darem la mano” è un motivo che molti di noi, nella vita, hanno incrociato. Stringersi la mano è un gesto che nel vespismo trova una manifestazione naturale: a Bassano lo avevano fatto gli Alpini durante la Grande Guerra. Ancor di più trova significato nei primi anni del secondo dopoguerra, quando la parte orientale del territorio nazionale sta ancora vivendo momenti difficili: la zona che va grosso modo da Duino a Cittanova, con Basovizza come estremo ad est, detta Territorio Libero di Trieste, viene creata nel 1947 nelle more del trattato di pace di Parigi tra l’Italia e le potenze alleate. Esso viene suddiviso a sua volta in due settori: la Zona A comprendente il capoluogo giuliano, amministrata dal governo militare alleato; la Zona B, identificabile nella parte nord-ovest dell’Istria, viene gestita dall’esercito jugoslavo del maresciallo Josip Broz detto “Tito”. Queste terre vengono rivendicate dallo Stato confinante, e per alcuni anni le popolazioni vivono nell’incertezza del futuro, oltre che in un clima politico-ideologico tormentato. La delicatissima questione, che si snoda in un periodo di guerra fredda tra i due blocchi, si risolverà solamente il 25 ottobre 1954 con il Memorandum di Londra: la Zona A diverrà definitivamente italiana, l’altra passerà entrerà a far parte della Jugoslavia. Nel mezzo, gli italiani d’Istria vivranno il cosiddetto “esodo giuiano-dalmata” dalle proprie terre d’origine e gli orrendi massacri delle foibe.
Nel 1952 questa situazione è ben viva nel cuore degli italiani, che sentono vicinissime le migliaia di connazionali ancora sospesi nel nulla. E il vespismo attivo è come sempre in prima fila per far pervenire loro una voce fraterna tramite una concreta manifestazione di unità e solidarietà nazionale. La data è il 18 maggio, il luogo – appunto – Bassano del Grappa. Una località simbolo dell’italianità sin dai tempi della prima guerra mondiale, ideale per accendere la “sacra fiaccola” dell’italianità e per far stringere quelle due mani tese l’una all’altra. Trieste, assieme a Trento, è “città redenta” sin dai primi giorni del novembre 1918, quando l’esercito italiano entra alle 15,15 di domenica 3 in Trento con i cavalleggeri del reggimento “Alessandria” e un gruppo di arditi e di alpini, e il lunedì successivo a Trieste, segnando così la fine del conflitto e la liberazione dalla dominazione austriaca. “Viva Trento e Trieste italiane!” titolano a tutta pagina i quotidiani da Torino a Palermo.
Da allora sono passati trentaquattro anni, per arrivare al 1952. Un tempo relativamente breve ma che ha cambiato per sempre il corso della storia del nostro Paese con il ventennio fascista e la seconda guerra mondiale. Il sentimento di unità nazionale è tuttavia ancora ben vivo, ed è evidente che sino a quando queste situazioni non saranno definitivamente chiuse, l’Italia non potrà dirsi una nazione stabile e in grado di guardare al domani con fiducia.
Quel 18 maggio sono 3.500 (tremilacinquecento) i presenti al raduno “Sul ponte di Bassano”, che il Vespa Club d’Italia ha voluto organizzare per affermare con estrema energia la propria presenza all’interno di quel sentimento unitario. La preparazione dell’evento richiede oltre tre mesi di lavoro, e l’annuncio viene dato dal “Notiziario dei vespisti italiani” già nel numero del 15 aprile. Manlio Riva, Presidente del Vespa Club Vicenza (la provincia dove Bassano del Grappa è situata), si assume l’onore di presentare l’avvenimento con un editoriale nel suo perfetto stile, intitolato “Perché andiamo a Bassano”: “Tre stemmi su di un Ponte sotto l’occhio materno di una grande Mutilata, sintetizzano quella che dovrà essere la più grande manifestazione turistica del 1952. In questa visione, che sembra uscita da un disegno di scuola novecentista, sta una storia leggendaria di sofferenze, di passioni e di gloria. È la storia di un popolo, la rievocazione di un’epopea eroica, la esaltazione della Patria. Su quel Ponte di legno, sotto cui scorre, come dice il poeta, il Brenta sonante, ai lati che sono idealmente due stemmi che per gl’Italiani son due splendide e care gemme; son le insegne di Trento e Trieste che 600mila morti, col loro olocausto, posero nel serto della nostra Italia.
Il 18 Maggio un terzo stemma, quello del Vespa Club d’Italia, sarà al centro del Ponte di Bassano per unire le due figlie dilette della Patria e dir loro che il sacrificio di tanti nostri eroi non è stato vano perché Vittorio Veneto non fu un mito ma una storica, fulgida realtà. Testimone a quest’incontro sarà la Madre dell’Umanità, sarà la divina Patrona dei Mutilati d’Italia che il 4 agosto 1921 fu decorata della croce di guerra come un autentico combattente: la Madonnina del Grappa che, come tutti i soldati che attorno ad Essa caddeo sul Sacro Monte, fu straziata e martoriata dal fuoco e riportò ampie mutilazioni.
Ecco perché il Raduno nazionale vespistico “Sul ponte di Bassano” non può essere scambiato dai profani per una qualunque manifestazione a scopo ricreativo. Con i vespisti, il 18 Maggio, sarà a Bassano del Grappa lo spirito di tutti gli Italiani. (…) Quello del 18 Maggio è per i vespisti un atto di fede, una prova d’amore della Patria per la sua figlia ancora contesa. Sarà proprio Trento, saranno i figli della terra di Cesare Battisti, di Fabio Filzi, di Damiano Chiesa che ripeteranno la promessa d’Italia ai Fratelli di Trieste accendendo con la loro la fiaccola, simbolo di eterno sentimento d’amore e di fede, che sarà recata sul Colle di S. Giusto e che dirà alla Gente Giuliana che ove esiste un italiano ivi è l’Italia e che la storia non può essere alterata da trattati iniqui o da mene ed interessi politici.
Il canto della dolce canzone “Sul ponte di Bassano noi ci darem la mano” si alzerà quel giorno non soltanto dai 2.000 vespisti che colà converranno, ma la canzone, in quell’occasione, s’umanizzerà e diverrà realtà. Ci ridaremo la mano fra fratelli e tra fratelli rivivremo le liete e tristi ore della vita. Sotto lo sguardo materno della Grande Mutilata, mentre attorno aleggeranno gli spiriti del Caduti del Grappa e del Carso, del Montello e del Pasubio, dell’Altipiano d’Asiago e della Bainsizza, su quel Ponte che eventi bellici distrussero ma che la ferrea, dura, montanara volontà degli Alpini riedificò ad esempio di una unità di cuori e di opere, i vespisti d’Italia rinnoveranno la promessa di essere degni eredi del valore e del sacrificio della nostra gente e diranno che credono, come credettero i nostri Padri, in un avvenire migliore dove l’amore, la concordia ed il bene sono i pilastri fondamentali del diritto delle genti e del trionfo di ogni giusta causa”.
Il Vicepresidente del Vespa Club d’Italia è vicentino, ed è un fervente devoto della Madonnina del Grappa, chiamata a benedire tutti coloro che sapranno rispondere alla chiamata: spetta a lui chiarire la missione implicita in questo raduno, il cui senso va ben oltre – come lui stesso tiene a precisare inequivocabilmente – quello di un incontro fine a se stesso. Tra l’altro tutto è organizzato dal Vespa Club della provincia sotto l’egida del Vespa Club d’Italia, e prevede da regolamento la possibilità di partecipazione a tutti i vespisti, pure quelli non tesserati per un club periferico, a ulteriore testimonianza che Vespa deve unire “a prescindere”, anche se non si è pagato un cartoncino recante un marchio, un timbro e una firma.
Ogni Vespa Club ufficialmente presente deve recare con sé la fiamma sociale con dimensioni fisse (76 cm di altezza e 44 di lato – un perfetto triangolo isoscele), che da un lato deve riportare lo stemma del Vespa Club d’Italia sul modello del guidoncino nazionale, mentre sull’altro verso va ricamato il nome della città con lo sfondo dei colori cittadini. Questo elemento è necessario sia per dare identità piena a ciascun gruppo partecipante che per rendere visivamente l’idea della rappresentanza.
Trattandosi di un raduno vespistico, naturale che vengano pure fissate le caratteristiche tipiche di tali manifestazioni: al termine della giornata verranno stilate regolari classifiche turistiche in base ai chilometraggi percorsi per l’assegnazione dei premi. La quota d’iscrizione è stabilita in lire 250 per il conduttore socio del Vespa Club d’Italia, lire 300 per un conduttore “libero” e lire 350 per l’eventuale passeggero. Quanto sarebbe il valore reale di queste cifre? In quell’anno un kg di zucchero costa 260 lire (prezzo imposto), la benzina 116 lire al litro, un kg di pane 120 lire.
Il Vespa Club d’Italia costituisce un comitato esecutivo, naturalmente presieduto da Renato Tassinari, che vede come vicepresidente Manlio Riva e segretario il rag. Dino Comin, segretario di Riva nel Vespa Club Vicenza. I membri sono cinque elementi del locale sodalizio, Marco e Mino Nardi, Sergio Piccioli, Gian Maria Sandrini e Cesarino Trevisan, e ad essi si uniscono i due rappresentanti delle città simbolo, Trento e Trieste, rispettivamente Bruno Sighel e Ovidio Opiglia. Il Comitato d’Onore, riservato alle autorità, è presieduto dal prefetto di Vicenza, e composto dai sindaci di Vicenza, Bassano, Trento e Trieste, oltre che da esponenti della politica e dell’amministrazione e dal comm. Emanuele Bianchi, Presidente della F.M.I.
segue a
A 70 anni dallo storico raduno “Sul Ponte di Bassano” – seconda parte